Persone che presentano sintomi della malattia – (fase iniziale)
Reazione alla diagnosi: ci sono sostanzialmente due situazioni nelle quali il paziente si trova a dover affrontare i primi segnali della Corea di Huntington: l’insorgenza di sintomi in assenza di un testo pre-sintomatico e la comparsa degli stessi a conferma di un esito positivo del test.
Il primo caso comporta ovviamente una serie di problemi che sono già stati affrontati nel secondo, al momento della conferma (data dal test) della presenza della malattia. Le persone che non si sono sottoposte al test spesso, per paura di ciò che li aspetta, tendono a non voler accettare il sintomi della malattia in quanto tali, arrivando a negare l’evidenza persino quando il neurologo esprime la sua diagnosi. Se i familiari prevedono una simile reazione, è bene che la diagnosi gli venga comunicata per gradi, rassicurando man mano il paziente affinché non si chiuda in se stesso. Se questo avviene ugualmente, non serve a nulla forzarlo, volere costringerlo a tutti costi ad ammettere di essere malato. Così facendo si scatena tutta la sua diffidenza, suscitando una specie di mania di persecuzione che non lo aiuta e lo sottopone invece a un forte stress. Se questo atteggiamento, come spesso accade, è rivolto soprattutto ai membri della famiglia, un aiuto valido può venire da qualcuno esterno ad essa. Amici, medici (di base o neurologi), assistenti sociali o psicologi possono avere con il paziente un approccio più sereno, proprio perché si tratta di persone “esterne”, con un punto di vista “tecnico e pratico”, in poche parole persone “non interessate”. Questa reazione di rifiuto, perfettamente comprensibile, a volte si protrae a lungo nel tempo, altre svanisce quasi subito, con la piena accettazione del paziente del suo nuovo stato di “malato”.
Una nuova vita? “Nuovo stato” non è stato detto a caso: la Corea di Huntington è una malattia dal decorso molto lungo, di svariati anni, quindi dal momento della comparsa dei primi sintomi al momento in quel paziente diventa non più autosufficiente, trascorre un lasso di tempo della sua esistenza che lentamente si distacca dal “normale”. Questa gradualità deve essere sfruttata a vantaggio di una migliore qualità di vita del paziente. Nonostante la Corea di Huntington abbia fatto la sua comparsa, nulla vieta alla persona malata di condurre una vita normale per svariati anni.
Non è necessario che abbandoni il lavoro, fintanto che è in grado di svolgerlo, potrà muoversi e spostarsi autonomamente senza aiuto ancora per diverso tempo (sebbene sia consigliabile rinunciare alla guida non appena insorgono le prime difficoltà a concentrarsi), e potrà prendere autonomamente decisioni per se stesso.
E i familiari? Anche il ruolo del familiare cambierà gradualmente, adeguandosi alle varie fasi della malattia, ma assolutamente NON ANTICIPANDOLE. Spesso un eccesso di amore, zelo e iperprotettività dei familiari fa sì che il malato limiti i propri sforzi per contrastare la malattia. Sebbene la Corea di Huntington sia incurabile, infatti, resta sempre al paziente la possibilità di mantenere allenato il proprio corpo e proprio cervello. Correre in suo aiuto anche quando non è necessario, solevarlo da qualsiasi sforzo di essere autonomo, prendere decisioni per lui senza interpellarlo e coinvolgerlo fa sì che si abbandoni più facilmente alla malattia, che non si senta più rispettato e si isoli. Starà alla sensibilità del familiare capire quando sarà il momento di prendere iniziative anche per il paziente.
Cambiamenti: con l’insorgere dei sintomi, ovviamente, il paziente cambia. Ma più che i sintomi fisici, ad avere un’incidenza nei rapporti con i familiari sono i sintomi psichici. Una certa propensione per l’irritabilità o la depressione, difficoltà ad organizzarsi, perdita di memoria sono sintomi comuni. Va tenuto presente che la malattia colpisce solo alcune regioni del cervello, quindi vengono a mancare al paziente solo alcune funzioni: per esempio farà fatica a ricordare cosa successe a breve termine, mentre manterrà i ricordi di cose avvenute molto tempo fa, sarà in grado di riconoscere gli oggetti ma avrà problemi a metterli in relazione tra loro, non si renderà bene conto della conseguenza delle sue azioni (per esempio spingerà una persona non comprendendo poi perché sia caduta).
Per aiutarli si può ricorrere a piccole strategie. Far fare loro una cosa per volta, per esempio, visto che faticano ad organizzarsi (non riescono più a fare le cose in modo da risparmiar tempo o fatica), collegare sempre le cose in maniera logica (non parlare di due avvenimenti conseguenti maniera separata, ma unirli in discorso unico), mantenere una certa routine durante la giornata, fatto che dà loro una grande tranquillità. Eliminare tutti gli stress possibili dalla loro vita non significa, però, non stimolarli.
La riabilitazione: come è stato detto più volte, esistono malattie “inguaribili”, non “incurabili”. Anche i pazienti di Corea di Huntington possono usufruire, al di là dei farmaci, di diverse cure. Logopedisti per migliorare la capacità di parola, la respirazione, la masticazione e la deglutizione, fisiatri per mantenere la tonicità dei muscoli e controllare il più lungo possibile i movimenti volontari, psicologi per tenere in allenamento il cervello e stimolare la memoria sono alcuni degli esempi. Ci sono molti tipi di massaggio e terapie (idromassaggio, chinesi passiva, linfodrenaggio, ecc.) che portano benefici a questi malati, come una giusta dieta, lo stimolo a conservare la capacità di scrivere ed altre cose che i familiari possono praticare ogni giorno, anche a casa. La frustrazione, come lo stress, è nemica di questi pazienti: dar loro la soddisfazione di poter mantenere il più a lungo possibile le loro capacità è uno degli aiuti più grandi. E bisogna ricordare che non è mai troppo presto per iniziare con queste pratiche: con la comparsa dei primi sintomi è bene iniziare subito a seguire queste attività.