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Persone asintomatiche che non hanno effettuato il test. - Corea di Huntington
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L'Associazione "Ricerca In Movimento" è stata costituita per fornire un appoggio formativo, pratico e morale alle famiglie con pazienti affetti da Corea di Huntington a partire dal 1994 fino al 2002. La "Mauro Emolo Onlus" nata da una costola dell'Associazione "Ricerca In Movimento" è attiva dal 2001 e si occupa di finanziare la produzione di materiale informativo sulla Corea di Huntington (spot, campagne stampa, sito internet, numero verde) oltre a tutte le iniziative utili alla ricerca e alle famiglie.

Persone asintomatiche che non hanno effettuato il test.

Come abbiamo già detto in precedenza, la decisione di effettuare o meno il test è molto difficile e va presa senza fretta, valutandone tutti gli aspetti. Il risultato del test, o la scelta di non effettuarlo, influenzerà qualsiasi scelta futura, compresi il matrimonio, il lavoro, la decisione di avere o meno figli.

Quando c’è un malato in casa: la presenza di persone malate nel nucleo familiare ha un grande peso per gli individui “a rischio”. Avendo di fronte a sé un esempio chiaro di cosa potrebbe attenderli, possono avere reazioni contrastanti. Potrebbero “rifiutare” a priori l’eventualità di potersi trovare nelle stesse condizioni del familiare malato (genitore, fratello/sorella, parente di altro genere), oppure sentirsi spinti a escludere o confermare immediatamente questa ipotesi, eliminando un dubbio con cui non sanno convivere. Non esiste una reazione “giusta” o “sbagliata”, è importantissimo che la scelta di fare o non fare il test, della certezza o del dubbio, sia comunque quella che fa star meglio la persona “a rischio”.

Diversi atteggiamenti verso la malattia: nell’attesa di prendere la decisione se fare o non fare il test alcune persone “a rischio” si chiudono definitivamente nei confronti della malattia: non vogliono parlarne, reagiscono con fastidio ad accenni fatti da altri, mostrano rancore verso i membri della famiglia che cercano di sollevare l’argomento. Altre persone assumono invece l’atteggiamento opposto, parlandone in continuazione, ponendosi mille domande, facendo congetture di ogni genere sulla possibilità di averle ereditata, su eventuali sintomi ecc. Il familiare deve in sostanza rispettare l’atteggiamento assunto dalla persona “a rischio”, avendo comunque l’avvertenza di arginarlo quando diviene troppo estremo. In poche parole è bene non alimentare l’ossessione per la malattia in coloro che ne parlano sempre, cercando di razionalizzare al massimo le ipotesi fatte, e non eliminare del tutto l’argomento con coloro che rifiutano di parlarne. La cosa più importante è che ci sia comunque chiarezza tra i familiari, che le cose non vengano dette a metà, che non si assumano atteggiamenti ambigui o innaturali. Più il rapporto tra familiari e paziente “a rischio” sarà limpido, più sarà loro possibile aiutarsi  l’un l’altro.

Atteggiamento dei familiari: chiaramente, molte persone “a rischio” hanno un atteggiamento più equilibrato nei confronti della malattia e del test, mentre in certi casi sono propri familiari a creare tensione e allarmismi, stando sempre sul “chi vive”, osservando la persona ” a rischio” alla ricerca di potenziali sintomi. Pur comprendendo lo stato di ansia in cui si trovano, è importante che familiari capiscano che ogni forma di stress, ogni tensione superflua, portano al risultato di allontanare i membri della famiglia dalla persona “a rischio”, che potrebbe oltretutto interpretare la loro ansia come un “ricatto” per costringerlo a fare il testo. Mentre la grande forza che i pazienti “a rischio” e i malati possono avere è data proprio dal rapporto con le persone che amano. Lo stesso discorso vale per il partner e gli amici: andare incontro alle esigenze della persona “a rischio”, assecondare le sue necessità e le sue scelte, non cambiare atteggiamento nei suoi confronti e creare un clima di distensione può solo aiutarlo.

Reazioni negative: il dubbio di poter avere ereditato la Corea di Huntington può scatenare nella persona a rischio una forma di rancore verso il familiare che potrebbe avergliela trasmessa, oppure nei confronti di coloro che, avendo già effettuato il test, sono risultati negativi. Questa reazione è del tutto normale, e si consiglia ai familiari di non sottolinearla, lasciare che la persona “a rischio” sfoghi la sua rabbia e la sua frustrazione, cercando di rasserenarla gradualmente, non colpevolizzandola a sua volta. Purtroppo le reazioni negative possono non essere solo della persona “a rischio”.

Il paziente e la famiglia

07 Luglio 2011